L’Associazione Culturale Pop Up mette in mostra una storia che non molti conoscono, quella della ‘Generazione Travolta’, la generazione che ha dominato gli anni 70 in Italia. Una generazione in controtendenza con quella che aveva costituito i grandi moti del ’68: il consumismo stava decisamente per averla vinta sui principi scatenanti del grande attivismo di fine del decennio precedente. Una caratteristica su tutte era il quasi totale disinteresse, anzi di indifferenza vera e propria, per la politica che andava maturando tra i giovani, lontani dai cortei e dalle azioni di protesta dei loro coetanei sessantottini.
Vinili, foto, film, libri e composizioni artistiche per raccontare quegli anni bui messi da parte dalla storia italiana ma che hanno contribuito a plasmare la nostra società e a cambiare gli animi dei giovani di quei tempi. Nelle teste dei nuovi ventenni trovava, paradossalmente, più spazio la “Febbre del sabato sera” di John Travolta rispetto all’assassinio di Aldo Moro, esponente della Dc. Grande eco aveva provocato il film interpretato dall’attore italo-americano perché un po’ dal lato musicale, un po’ da quello cinematografico la “Febbre del sabato sera” rappresentò un aggancio importante con il mondo al di qua dell’Oceano, Italia in primis. La figura di John Travolta ispirò imitazioni nel nostro paese e si pose come vera e propria icona, citato nei nostri programmi e “plagiato” nel vestiario fino ai nostri giorni.
Era il 1978 e tutto sommato il terreno italico si presentava tutt’altro che fertile per accogliere l’emblema del “divertimento”, made in Usa, perché da noi vigeva il clima di terrore imposto dai comunicati dei brigatisti, con annesse pene di morte annunciate e ispezioni ad opera della polizia. Nonostante ciò però il fenomeno era destinato ad affermarsi: lo fece inizialmente sulle pagine di “Panorama” che, tramite il suo critico specializzato Tullio Kezich, cominciò a inserire la “febbre” nei titoli. Con l’arrivo dell’estate quindi il boom: il 3 agosto 1978 Rete 2, nel suo programma “Videosera”, affrontò il tema “Saturday Night Fever” addirittura in prima serata, andando anche ad intervistare John Travolta. Si cominciò a parlare di “travoltismo” (ad esempio sulle pagine di “Tv 25 Sorrisi e Canzoni”).
Era come se tutta Italia, improvvisamente, desiderasse andare a ballare e a divertirsi sulle piste, il sabato sera. Serviva un personaggio che sapesse emulare le gesta di Travolta e che si ergesse a figura di riferimento per quanto riguarda il nostro paese: fu individuato in Dario Bramante, un ventenne milanese che praticava taekwondo e per questo si riteneva molto “predisposto nei movimenti fisici”. Era un tipo alto, riccio e slanciato e si presentava sulla pista vestito in abiti bianchi, proprio come il simbolo della Disco Music. Venne inserito tra l’altro nel cast di “Disco delirio”, un film di Oscar Righini, proprio del 1978, e primo di una lunga serie di clonazioni dell’originale “Saturday Night Fever”. I personaggi però imperversavano un po’ in tutta Italia: dal fiorentino Rodolfo Banchelli, attore protagonista in “Rock’n’roll” di Vittorio De Sisti, a Giuseppe Spezia, sosia di Travolta in “John… travolto da un insolito destino” di Neri Parenti. La misura vera e propria della febbre la si ebbe però con il concorso di ballo, organizzato dalla Domenica del Corriere di Maurizio Costanzo, che si poneva come obiettivo quello di scovare il John Travolta e la Olivia Newton (la coppia di “Grease”) italiani. Arrivarono addirittura in dodicimila, da tutt’Italia, di tutti i livelli sociali e, in particolare dal Sud, un po’ di tutte le età. Non per caso alla Ca’ Liscio dei Casadei , la discoteca più grande d’Italia, nel Basso Ravennate, tra i 26 “travoltini” arrivò al successo proprio Dario Bramante, in compagnia di tal Elisabetta Stucchi. Paradossale il fatto che quello di lui fosse uno stile in realtà “anti-travolta”, con capelli lunghi e permanente, canottiera e jeans; quel che conta comunque è la risposta che il paese dette all’iniziativa e che mostrò la diffusione sempre più capillare della Disco. Un fenomeno, questo, che nello stretto giro di un anno, stava soppiantando decisamente la dedizione politica, creando “dei nuovi ventenni”.
I punti d’incontro non sono più le piazze ma le discoteche: emblematici i dati proposti da Panorama. Secondo la Siae infatti nel 1978 le sale da ballo videro 500 nuove aperture ed un aumento delle presenze del 50% rispetto all’anno precedente. Nascevano tra l’altro anche scuole e corsi di ballo, perché tutti volevano imparare. Per dirla con Giampiero Mughini “L’avvento della Disco Music fu come un terzo dopoguerra, in cui l’Italia voleva tornare a ridere, a far tardi la sera, a godersi l’insostenibile leggerezza dell’essere, dimenticando i giorni lividi dell’orrore”. Segnale che lo spirito del ’68 era definitivamente tramontato, portando con sé anche i più politicizzati: fu sfatato il tabù della discoteca come covo fascista, dato che da lì in poi cominciarono ad andarci i gay, quindi i gay di sinistra e le femministe, ed infine anche gli “estremisti rossi”.
Ci fu il declino inevitabile della musica “di protesta”, sia nelle vendite dei dischi che soprattutto alla radio. Tra le emittente dell’epoca aveva molti più ascolti Radio Gamma, che trasmetteva musica non stop, rispetto a Radio Popolare, stazione di riferimento della nuova sinistra. Ai giovani del Collettivo di critica alternativa, ed in generale ad alcune sezioni (le più estremiste) dello spettro politico il ‘travoltismo’ non andava proprio giù: rappresentava, secondo loro, un passaggio inaccettabile dall’impegno politico al qualunquismo, dalla cultura all’evasione, dalla partecipazione all’individualismo. Si creò non a caso una situazione di imbarazzo, come quella tra quei militanti di Lotta Continua che apprezzavano la discoteca, e l’avevano resa appuntamento fisso del proprio tempo libero, e il direttore del “Quotidiano dei Lavoratori”, Vittorio Borelli, che vedeva le balere come fenomeni di imitazione del consumismo americano. D’altra parte fino ad allora lo svago era stato concepito dai gruppi estremisti solamente nell’ambito dei luoghi di appartenenza politica. La lotta mediatica era però difficile, perché anche quotidiani molto affermati come l’”Unità” e il “Manifesto” condannavano il mondo della disco, definendolo addirittura come terza fonte di aggressione e ipnosi dei giovani, dopo droga e religioni. In compenso John Travolta trovava alleati sulle pagine di “Repubblica”. Il ‘travoltismo’ per altro divenne stereotipo della destra, era breve infatti il passo che lo congiungeva al già citato neoqualunquismo e quindi al fascismo.